(di Patrizia Pedrazzini) Scollature generose, somme di denaro, favori. A discrezione del professore di turno. E poi raccomandazioni, domande concordate, nepotismo sfrenato. C’è tutto il più becero malcostume italico in “TuttApposto”, commedia allegorica, e leggera ma non troppo, sulla mala-università nazionale (e sul Paese in genere), nonché secondo lungometraggio, dopo “Ravanello pallido”, di Gianni Costantino.
Sicilia, località “Borbona Sicula” (città immaginaria che è poi Catania). Roberto (Roberto Lipari), studente universitario nonché figlio del Magnifico Rettore (Luca Zingaretti), stufo di un ateneo e di un sistema nel quale gli esami si vendono e l’unico potere riconosciuto è quello del baronato, decide, con un gruppo di amici, di ribellarsi. Realizza così un’App per smartphone, che chiama appunto “TuttApposto”, sulla quale i ragazzi possono liberamente descrivere, e valutare, l’operato dei docenti. I ruoli così si invertono, in nome della trasparenza e, finalmente, della meritocrazia. Ma è davvero cosi? Corrotti prima, i professori non si ritroveranno forse a essere “corrotti” anche dopo, seppur in senso inverso? E gli studenti sono davvero tutti buoni e onesti? Ma soprattutto, la disonestà viene punita, alla fine, o tutto finisce ancora una volta, all’italiana, in gloria?
Al di là delle buone intenzioni, la pellicola si snoda allegramente lungo una trama, non solo prevista e prevedibile, ma che non riesce mai a togliersi di dosso un eccesso di leggerezza, per il quale le storture e i peccati di un intero mondo, nel caso specifico quello accademico, vengono evidenziati ma mai approfonditi, all’interno di un affresco che, da volutamente poco credibile, sfora non di rado nel grottesco. Mentre i protagonisti rischiano di trasformarsi in caricature di se stessi. Il professore perennemente allupato che ha occhi solo per il seno delle studentesse; quello che non si presenta in università da decenni, assurto a leggenda metropolitana; la professoressa zitella e complessata che finalmente scopre il sesso (grazie all’allupato di cui sopra); il Rettore austero e marziale, corrotto come pochi, che alla fine si immola per amore del figlio; la madre di Roberto che trova compensazione solo nel preparare cassate; e avanti di questo passo.
Un caravanserraglio degno del miglior teatro siciliano (dal quale peraltro provengono parecchi dei co-protagonisti). Ma per favore niente riferimenti a Tomasi di Lampedusa e men che meno a Pirandello.
Nei panni della tutto d’un pezzo ministro della Pubblica Istruzione, Monica Guerritore.
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